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Arresto di Matteo Messina Denaro, qual è il vero ruolo del prestanome Andrea Bonafede?

Andrea Bonafede è l’uomo che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro e grazie ai suoi documenti, il boss ha potuto avere accesso alle cure per il tumore che lo sta affliggendo. Dopo averlo solo indagato, per Bonafede sono scattate, nel pomeriggio di ieri, 23 gennaio, le manette. Le accuse a suo carico sono di “associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato”. Inoltre, per lui è stato riconosciuto il “pericolo di inquinamento delle prove e il pericolo di fuga“.

Nel provvedimento di custodia cautelare, riportato da Today.it, si legge che Bonafede ha riferito di aver incontrato Matteo Messina Denaro per la prima volta per strada a Campobello di Mazara meno di un anno fa.

Il boss gli avrebbe chiesto documenti e carta di Identità per avere accesso al servizio sanitario italiano. Inoltre, gli avrebbe chiesto una casa dove vivere, che poi si è rivelato essere il covo di vicolo San Vito “acquistato con circa 15 mila euro forniti in contanti dal mafioso e poi versati su un conto per emettere un assegno”.

Tuttavia, la dichiarazione non sembra veritiera, tant’è che il gip Alfredo Montalto, scrive che non è “minimamente credibile” che il “latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato, come in effetti è avvenuto), oltre che per acquistare l’immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha dimorato”.

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Inoltre, solo un affiliato poteva offrire tale protezione, che non poteva essere affidata al caso. Andrea Bonafede, infatti, “è nipote (figlio del fratello) del noto Leonardo Bonafede, già reggente proprio della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha protetto, quanto meno negli ultimi anni, la latitanza di Messina Denaro consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra operante in provincia di Trapani”.

E, continua il gip “solo un associato che godeva della totale fiducia del latitante poteva infatti essere incaricato di compiti di tale delicatezza, specialmente in considerazione della pressante esigenza da parte di Messina Denaro di sottoporsi a terapie mediche di particolare rilevanza”.

Amalia Vingione

Amalia Vingione è laureata in Lettere Moderne presso l’Università Federico II di Napoli e presso lo stesso Ateneo consegue la laurea specialistica in Filologia Moderna con indirizzo in Italianistica. Consegue un Master in Editoria e Comunicazione presso il Centro di Formazione Comunika di Roma. Attualmente lavora come Editor, Copywriter per diverse Case editrici e Giornali e si occupa di Comunicazione per enti e associazioni.

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